La chimica clinica, o biochimica clinica, è un ramo della biochimica di laboratorio che si occupa dello studio delle alterazioni biochimiche di natura patologica e dell’applicazione di tecniche analitiche chimico-strumentali ed immunochimiche per effettuare determinazioni diagnostiche o di routine sui liquidi biologici. Questa branca della scienza chimica è di ausilio ai servizi di patologia clinica, specialità medica che si occupa di raccogliere e interpretare i dati analitici provenienti da diversi reparti specialistici di medicina di laboratorio con lo scopo di poter effettuare una diagnosi chiara e precisa. La biochimica clinica rappresenta anche un supporto alla tossicologia, nell’ambito di comuni determinazioni biochimiche.
La ricerca, sviluppo e fabbricazione di biosensori enzimatici è un settore in continua espansione che ha attirato l’attenzione anche a livello industriale grazie alla possibilità di poter sfruttare le proprietà intrinseche dei biorecettori enzimatici, che li rendono altamente selettivi e sensibili.
In particolare, i biosensori a base dell’enzima laccasi suscitano molto interesse per la loro capacità di rilevare molecole altamente tossiche nell’ambiente diventando strumenti essenziali nei campi delle tecnologie di produzione industriale con un basso impatto ambientale come la biotecnologia bianca e la chimica verde che utilizzano rispettivamente organismi viventi e sostanze chimiche non inquinanti al fine di creare processi industriali maggiormente sostenibili con minore ottenimento di sottoprodotti dannosi.
La produzione di un nuovo biosensore a base di laccasi, esente da metalli, con capacità di riutilizzo e conservazione senza precedenti, è stata raggiunta dal gruppo di ricerca dell’Istituto di struttura della materia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ism) attraverso l’applicazione della metodologia di deposizione electronspray (ESD) come tecnica di immobilizzazione enzimatica efficiente al fine di evitare il distacco dell’enzima dal sensore durante l’utilizzo.
Questo lavoro mostra come la tecnica ESD possa essere sfruttata con successo per la fabbricazione di un nuovo promettente biosensore elettrochimico amperometrico a base di laccasi ecocompatibile, con capacità di conservazione e riutilizzo.
Il risultato ottenuto dai ricercatori è confermato dal confronto con la più comune tecnica del drop casting (ossia la deposizione goccia a goccia sul substrato di una soluzione organica in cui il soluto polimerizza sul substrato stesso, fissandosi una volta che il solvente sia allontanato) che, qualora paragonata, non riesce a competere in termini di stabilità nel riutilizzo né di sostenibilità se si pensa alla quantità di solvente che viene impiegata su scala industriale. L’assenza di additivi in fase di immobilizzazione e le peculiari prestazioni relative al riuso, alla stabilità nel tempo e al ricondizionamento del sensore, rendono sia il processo che il prodotto finale ecologico e sostenibile. Perciò si può guardare all’argomento anche da una prospettiva di economia circolare, trattandosi di un sistema performante che è volto ad un approccio in cui sono cardinali il riuso, il riciclo, il ricondizionamento del sistema bioanalitico stesso qui approfondito.
Esistono metodiche di laboratorio particolarmente accurate per la determinazione di specifiche classi di parametri analitici. Quando diverse metodiche, che possono essere utilizzate in modo equivalente, in base alla dotazione di laboratorio, portano a risultati sensibilmente differenti in funzione della metodica utilizzata, è necessario indicare nel Certificato di Analisi anche la tecnica utilizzata per effettuare la determinazione dello specifico parametro. Nei casi più comuni, la refertazione viene effettuata indicando il parametro oggetto della misura, il livello di precisione e l’unità di misura utilizzata. I valori ricavati vengono poi comparati con gli intervalli di valori ritenuti fisiologici; in seguito ad anamnesi, esame obiettivo ed eventuali altri controlli specialistici il Medico potrà poi essere in grado di effettuare una diagnosi patologica.
Vengono comunemente effettuate in chimica clinica le seguenti determinazioni: carboidrati e loro metaboliti, azoto non proteico, proteine, lipidi, ormoni, enzimi e isoenzimi ecc…
Un esempio applicativo di questa disciplina è quello legato all’utilizzo di biosensori, ovvero accoppiare le tecniche biochimiche a quelle elettrochimiche e ingegneristiche. Un biosensore, infatti, può essere definito come un dispositivo analitico contenente un sistema biologico reattivo in intimo contatto con un trasduttore di segnale. Generalmente il sistema biologico è un enzima, più enzimi, anticorpi, componenti di membrane biologiche naturali o artificiali, batteri, cellule, tessuti viventi animali o vegetali. Questi sistemi interagiscono con l’analita che si vuole misurare e sono i responsabili della specificità del sensore. Il segnale che è rilevato come risultante della interazione di questi sistemi biologici con il substrato può essere un elemento o composto chimico elettroattivo ed allora il segnale sarà di tipo elettrodico (elettodi, semiconduttori ecc.). Se il segnale è di tipo luminoso si utilizzerà un sensore ottico, se di tipo calorico il sensore potrà essere un termistore, se il segnale genera onde sonore la misura verrà effettuata con un sensore acustico.
La nascita dei biosensori risale all’inizio degli anni sessanta quando Clark e Lyons (1962) introdussero il concetto di usare un enzima accoppiato con un elettrodo come reagente. Alcuni anni dopo Updike ed Hicks (1967) prepararono il primo elettrodo ad enzima utilizzando la glucosio ossidasi immobilizzata su un gel e posta su di un sensore elettrochimico. Con questo sensore si è misurata la concentrazione di glucosio in soluzioni biologiche. La semplicità nell’usare questo sensore ad enzima ne ha fatto crescere vertiginosamente il numero. Al giorno d’oggi ogni grande industria chimica, clinica, farmaceutica o ad indirizzo biotecnologico ha uno o due progetti riguardanti la ricerca e sviluppo dei biosensori. Inoltre, sono già disponibili sul mercato elettrodi ad enzima e strumenti per scopi clinici od industriali utilizzanti biosensori.
Per fare un esempio di una delle applicazioni mediche più predisposte a questo tipo di tecnologie è quella del diabete mellito. Il diabete è una malattia cronica del metabolismo di glucidi, lipidi e proteine caratterizzata da iperglicemia dovuta a un deficit produttivo o funzionale dell’insulina endogena. I pazienti affetti da diabete devono necessariamente controllare i valori di concentrazione di glucosio nel sangue; a questo scopo esistono varie tecnologie. I biosensori sono ad oggi un ottimo supporto, ad esempio, per l’autocontrollo dei livelli di glucosio nel sangue. Questi biosensori hanno eliminato o quantomeno ridotto l’uso di metodi invasivi come punture con la lancetta per la stima immediata della concentrazione di glucosio nel sangue. Grazie a un sistema di elettrodi e legami chimici il sensore è in grado di rilevare il glucosio nei liquidi corporei del paziente.
Nonostante la grande sensibilità dello strumento la sua realizzazione ed utilizzo è relativamente semplice, infatti, esistono in commercio biosensori anche con tecnologia Bluetooth® in grado di monitorare tramite App collegata ad un lettore da polso i propri livelli glicemici.
Il monitoraggio costante e continuo della glicemia è una pratica fondamentale per la corretta sorveglianza e gestione della terapia del diabete. L’autocontrollo della glicemia avviene principalmente mediante l’utilizzo di piccoli apparecchi elettronici (glucometri) che analizzano in breve tempo i valori glicemici su piccoli quantitativi di sangue. Considerando il costante aumento delle persone diabetiche e iperglicemiche, lo sviluppo di sistemi innovativi che possano essere rapidi, compatti, flessibili, indossabili, e capaci di lavorare senza l’analisi di piccoli quantitativi di sangue, è in costante sviluppo.
In questo contesto, si inserisce lo studio pubblicato sulla rivista NPG Asia Materials – Nature da ricercatori del Dipartimento di Scienze e biotecnologie medico-chirurgiche della Sapienza, in collaborazione con il CNR e altri enti internazionali. Il team di ricerca ha sviluppato un biosensore per la misurazione delle concentrazioni di glucosio nelle urine che utilizza una combinazione vincente di polimeri a più strati (idrogel) e nanoparticelle di argento: questa struttura multistrato (che ospita composti nano-riflettori che esibiscono geometria cubica) è stata ispirata studiando la naturale organizzazione nanostrutturata che si trova nella pelle del camaleonte.
I prossimi passi del futuro saranno dunque e verosimilmente quelli di sfruttare l’enorme versatilità del dispositivo bioanalitico aggiungendo opportune funzionalizzazioni biochimiche che permettano l’utilizzo del biosensore in altri campi di applicazione, quali ad esempio il monitoraggio di marker tumorali o il riconoscimento specifico di anticorpi. Inoltre, sarà possibile realizzare biosensori indossabili per il monitoraggio multiplo di analiti di interesse medico, anche in condizioni di microgravità, e di cui agli scenari dettati dall’innovazione tecnologica e alle conseguenti concrete applicazioni.
Dott. Chim. Marco Zenzola