E’ accaduto di nuovo… dei lavoratori operano all’interno di spazi confinati senza adottare le più elementari precauzioni e restano vittime di un incidente. I colleghi che attendono all’esterno presi dalla concitazione, senza valutare la situazione, si precipitano in aiuto dei loro amici e colleghi diventando pure loro vittime dello stesso killer invisibile che è rimasto in agguato ad attenderli. Stavolta siamo a Casteldaccia, dintorni di Palermo, ed il bilancio finale è di 5 morti.

Prima di parlare nel dettaglio di quanto accaduto e delle attività negli spazi confinati vorrei condividere con voi colleghi una riflessione più generale che secondo me è molto importante perché ci dona consapevolezza, cosa di cui purtroppo siamo tutti estremamente carenti.
Consapevolezza di cosa? Lo capiremo presto.
Gli incidenti accaduti operando all’interno di spazi confinati fanno solitamente molto scalpore perché quasi sempre il numero delle vittime è elevato… è però invece molto importante ricordare che solo in Italia ogni giorno (sabati, domeniche e festività comprese), secondo i dati diffusi da INAIL, nei luoghi di lavoro muoiono in media tre persone spesso senza il clamore delle cronache.
Dirò di più: secondo Eurostat il numero medio di persone che in UE27 muore ogni giorno nei luoghi di lavoro è pari a 9 (dato secondo me molto sottostimato perché non credo che, levando i 3 dell’Italia, nei rimanenti 26 paesi i morti siano complessivamente solo 6 al giorno), i morti sulle strade sono 70 al giorno e, cosa che deve farci allarmare più di tutte, ogni giorno in UE 312 persone muoiono a casa propria a causa di incidenti domestici.

Al di là dei tanti proclami che seguono sempre ad ogni incidente, proviamo per una volta ad individuare la “root cause” di questa strage quotidiana: è forse la fatalità? Oppure le attrezzature usate che improvvisamente si rompono senza un motivo? Non so voi, ma io non credo nella fatalità ed in 27 anni di direzione delle aree HSE di alcune multinazionali non ho mai visto macchinari ed attrezzature che si sono rotte senza un motivo.
La vera “root cause”, che ci piaccia o no, siamo noi, con i nostri comportamenti, le nostre scelte: l’attività fatta male, la manutenzione non eseguita, la procedura non seguita, i dispositivi di sicurezza non usati o bypassati, la troppa sicurezza nelle nostre capacità, la troppa certezza che a noi non capiterà mai nulla… ed i numeri purtroppo lo dimostrano: i morti sul lavoro sono “solo” 9 al giorno perché in azienda abbiamo leggi, procedure, regole interne, DPI, DPC, responsabili che sorvegliano, etc.; sulla strada passiamo a 70 perché esiste il codice della strada ma avvertiamo i controlli come molto più laschi, non ci sentiamo sempre sotto osservazione come al lavoro; a casa nostra invece ci sentiamo nel nostro nido, nel nostro regno dove vigono solo le nostre regole fatte al momento, dove ci sentiamo liberi di fare quello che riteniamo che in quel momento debba essere fatto e quindi ci concediamo ogni possibile e immaginabile deroga anche alle più elementari regole del buon senso… ed i 312 morti lo testimoniano.

Ecco quindi la consapevolezza di cui parlavo prima, la consapevolezza che tutto quello che accade a noi, ed a chi abbiamo attorno, è sempre e solo la diretta conseguenza delle nostre scelte ed azioni, sia che ci si trovi nei luoghi di lavoro, per strada o a casa nostra.
Non bisognerebbe parlare di sicurezza nei luoghi di lavoro ma di sicurezza nei luoghi di vita perché fare sicurezza, adottare comportamenti sicuri non può essere qualcosa limitato solo a brevi intervalli temporali o spaziali ma dovrebbe essere uno stile di vita applicato ovunque e sempre.
Con questa nuova e spero acquisita consapevolezza torniamo a parlare dell’incidente di Casteldaccia analizzando quanto successo,  individuando le cause (appunto per acquisire consapevolezza) e vedendo come può tornare utile quanto scritto nella nuova norma UNI “Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento – Criteri per l’identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi” che presto vedrà la luce e alla quale FNCF sta attivamente e concretamente lavorando assieme a INAIL, Federchimica, alcuni Ordini Professionali degli Ingegneri, l’Università di Bologna ed associazioni di esperti.

Secondo quanto riportato nelle cronache sette operai (sei di una azienda locale e uno della società committente che ha in gestione la rete fognaria del Palermitano) stavano effettuando normali lavori di manutenzione all’impianto di sollevamento delle acque reflue contenute in una cisterna della rete.
L’azienda locale stava lavorando in subappalto, ma non è questo il motivo dell’incidente, difatti era presente (e figura purtroppo fra le vittime) pure un rappresentante dell’azienda committente e, secondo quanto riportato dai media, sul contratto delle attività non era prevista l’esecuzione di lavori in spazi confinati per cui non c’era la necessità di effettuare i lavori a tutti i costi per non incappare in penali o contestazioni. Ad un certo punto pare che si sia verificato un problema: sembra abbiano trovato un in tappo che impediva di effettuare i lavori e così, invece di sospendere le attività e fare risolvere a qualcun altro il problema con persone e mezzi idonei, è stata fatta la scelta di calarsi in tre nella condotta per rompere il tappo e portare avanti i lavori previsti. Il tappo, molto probabilmente, ha portato alla formazione di una sacca di idrogeno solforato risultante dai processi di fermentazione dei reflui e la sua rottura potrebbe aver causato l’improvvisa esposizione degli operai al gas ad alte concentrazioni causando il loro svenimento e la caduta nella stanza tre metri più sotto: causa principale del decesso è stato l’avvelenamento da idrogeno solforato e l’asfissia, causa secondaria indiretta i traumi da caduta.
Le persone rimaste fuori, non vedendo risalire i colleghi, si sono fatti prendere dalla concitazione e altri tre si sono calati nella conduttura rimanendo così pure loro vittime dell’idrogeno solforato che nel frattempo aveva saturato tutte le condotte. L’unica persona rimasta fuori, non ricevendo più notizie dai colleghi che si eran calati, ha solo ora chiamato i Vigili del Fuoco che intervenendo hanno estratto due morti ed una terza persona in fin di vita che era l’ultima persona che si era calata per cui era quella che era la più vicina all’imboccatura della condotta e che era stata esposta all’idrogeno solforato per meno tempo. Le tre persone che si erano calate all’inizio dei lavori sono poi state estratte morte in un secondo momento.

Secondo le analisi svolte da INAIL, le cause dei decessi in seguito ad incidenti accaduti all’interno di spazi confinati sono riconducibili a: asfissia (53,5% dei casi), caduta dall’alto spesso in conseguenza di asfissia (25.6%), intossicazione (11.6%), caduta gravi dall’alto (4.7%), eventi meteo (2.3%), incendio e/o esplosione (2.3%).
Anche nell’incidente di Casteldaccia sembra che le cause primarie dei decessi siano state l’asfissia e l’intossicazione e la causa secondaria, per i primi tre lavoratori, la caduta dall’alto in conseguenza della perdita dei sensi, quindi le statistiche di INAIL si sono purtroppo ancora una
volta dimostrate corrette, segno che non impariamo mai da quello che è accaduto nel passato per cambiare quello che accadrà in futuro. Citando una celebre frase del grande Albert Einstein “Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi” e molti uomini evidentemente sono dei folli.
Non è certo mia intenzione a questo punto sparare sentenze o distribuire certezze che nessuno di noi ha, ci sono indagini in corso e saranno quelle a stabilire come le cose sono effettivamente andate. Però, quali potrebbero essere, in base alle informazioni circolate, gli errori commessi? Come la nuova norma UNI avrebbe potuto contribuire ad evitare il verificarsi dell’incidente o perlomeno a limitarne l’estensione delle conseguenze?

Ripercorriamo gli eventi: c’è un problema e i lavoratori decidono di calarsi e effettuare una attività all’interno di in uno spazio confinato senza prima organizzarla e prepararla nei dettagli predisponendo tutto quanto necessario per la sua corretta esecuzione e per un eventuale recupero in caso di emergenza.
Secondo la nuova norma UNI l’esecuzione di una attività in spazi confinati dovrebbe prevedere l’effettuazione preventiva di una specifica valutazione dei rischi che prende in considerazione, oltre ai rischi propri dell’attività da eseguire, pure i così detti rischi esogeni, cioè non propri di quel lavoro ma conseguenti ad eventi esterni che potrebbero verificarsi in contemporanea. Tutto questo, ovviamente, in una attività che viene decisa seduta stante non può essere fatto e le conseguenze sono purtroppo note.
Avrebbe dovuto essere presente anche uno specifico permesso di lavoro rilasciato da chi ha in capo la gestione e la responsabilità di quel luogo di lavoro e qui sembrerebbe che, a parte forse una breve ed informale telefonata a qualcuno per avvisare del tappo, nessuno abbia mai
autorizzato tale attività.

Preventivamente alle attività in spazi confinati bisognerebbe provvedere a ventilare gli ambienti e a verificare con appositi analizzatori la qualità dell’aria all’interno del luogo di lavoro. Secondo quanto riportato nessuna delle due operazioni è stata eseguita, come non sono stati approntati idonei strumenti di trattenuta e recupero da utilizzare nel caso di emergenze in modo da evitare che altre persone debbano introdursi nei luoghi con sospetto inquinamento per soccorrere chi si trova all’interno.
Nonostante si possano mettere in atto tutte le misure preventive necessarie, cosa che comunque in questo caso sembra non sia stato fatto, è comunque indispensabile accedere a luoghi confinati solo indossando idonei DPI che devono essere decisi in fase di valutazione dei rischi. In questo caso sarebbe stato indispensabile indossare degli autorespiratori oppure delle maschere alimentate con aria esterna ma, a quanto pare, non erano stati indossati né i primi né le seconde.
Durante le operazioni all’interno di uno spazio confinato è indispensabile mantenere un continuo monitoraggio delle condizioni ambientali per tutta la durata delle operazioni: gli analizzatori di gas devono restare attivi fino a quando non si esce dai luoghi confinati, in modo possano dare un immediato allarme non appena si verifichi una qualsiasi modifica nella qualità dell’aria.
Operando in spazi confinati è poi necessario avere con sé sistemi di comunicazione efficaci con chi resta all’esterno in modo che alla prima avvisaglia di una situazione anomala o di emergenza possa esserci l’immediata allerta di chi da fuori è in grado di intervenire. Questo non è chiaro se a Casteldaccia c’era o no, però il fatto che i colleghi rimasti fuori si siano allarmati solo quando non hanno visto risalire i colleghi fa sorgere il sospetto che forse non erano presenti idonei mezzi di comunicazione.
Il personale che attende all’esterno deve essere pronto ad intervenire, il che significa che deve essere già vestito ed equipaggiato (in questo caso con l’autorespiratore indossato) per poter entrare in sicurezza nel luogo confinato. Il fatto che in questo evento siano entrati tre “soccorritori” senza indossare un idoneo mezzo protettivo dimostra che nessuno era pronto per affrontare una possibile emergenza.
C’è infine tutto il capitolo relativo alla formazione ed all’addestramento dei lavoratori: non è dato sapere se i sei lavoratori coinvolti fossero effettivamente stati formati ed addestrati per lavorare in spazi confinati, una cosa però è certa, se formazione ed addestramento sono stati erogati sono sicuramente stati inefficaci.

Tutti questi punti, assieme a tanti altri, sono trattati approfonditamente nella nuova norma UNI “Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento – Criteri per l’identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi” che presumibilmente verrà pubblicata nel prossimo autunno. Sicuramente ci saranno aspetti che la norma non prende in considerazione o altri che si sarebbe potuto trattare diversamente o più approfonditamente, però di sicuro questa norma, assieme al D.Lgs. 177/2011 ed al D.Lgs. 81/2008, contribuirà a rendere un poco più sicure le attività da svolgere all’interno di spazi confinati ed i Chimici e Fisici, per mezzo della FNCF, si sono ritagliati un ruolo di primo piano
nella sua stesura.

 

Dott. Chim. Flavio Noè