La COVID-19 sta cambiando le nostre abitudini, le nostre relazioni e le nostre priorità. E il lavoro? Come sta cambiando e come cambierà quando l’emergenza sanitaria sarà passata? Per ora, l’emergenza sanitaria ha obbligato molte categorie allo smart working. È successo anche in Italia, dove fino a pochi mesi fa, c’era un atteggiamento molto diffidente verso “il lavoro agile”. Nel giro di poco tempo si è passati dai cinquecentosettantamila smart worker censiti a ottobre 2019 dall’Osservatorio del Politecnico di Milano a… otto milioni!
Tali dati di fatto aprono prospettive a scenari completamente nuovi per il futuro, in qualsiasi comparto. Occorrerà però essere capaci, come cittadini, come imprenditori, come professionisti e come Istituzioni, di guardare in maniera critica a tutto ciò che stiamo sperimentando in questo periodo di quarantena e, magari, cambiare certi comportamenti ed abitudini che finora ci erano sempre sembrate scontate.
Tutti abbiamo riscontrato come, durante la fase di lockdown, l’aria e le acque siano diventate più pulite in un brevissimo arco di tempo, le piante abbiano avuto una fioritura importante e la fauna selvatica si sia addentrata in alcuni spazi urbani privi ormai della presenza antropica. Molte sarebbero le riflessioni che questa emergenza sanitaria ci propone, comprese le forti criticità riscontrate a livello burocratico, a livello delle infrastrutture materiali e immateriali, delle forniture di prodotti e servizi.
Parlando di smart working si è resa evidente l’obsolescenza delle strutture che dovrebbero consentire un passaggio e conseguente utilizzo efficiente della fibra per rendere più snelle le videoconferenze, o la ricezione di programmi di intrattenimento televisivo, ma soprattutto l’invio e la ricezione di file di grandi dimensioni indispensabili per il prosieguo di alcune attività lavorative o per le lezioni a distanza. Si è reso altresì evidente che non tutte le mansioni necessitano di presenza fisica per essere svolte, e l’implementazione del lavoro a distanza consentirebbe tra l’altro una diminuzione della frazione di inquinamento dovuta al traffico, oltre ad una diminuzione di alcuni costi. Ecco quindi che si apre una diversa possibile visione del lavoro dignitoso, in cui gli ammortizzatori sociali siano più efficientemente distribuiti, i compensi siano adeguati alle prestazioni in considerazione anche della diminuzione dei costi, in cui si pensi a nuove tipologie di contratti di lavoro, e la dignità del lavoratore sia arricchita dalla possibilità di trascorrere maggior tempo con i propri affetti.
Grande preoccupazione desta la ripresa per tutte quelle PMI che, a causa dello stop subìto, vedranno importanti perdite nel fatturato, con conseguente difetto di liquidità e tuttavia necessari costi da sostenere per l’adeguamento degli spazi, delle postazioni e dei DPC e DPI per i propri dipendenti, per una riapertura in piena sicurezza. Ma in tale scenario come si può progettare una crescita economica? Occorrerà necessariamente un cambio di approccio mentale non solo sociale, ma anche e soprattutto da parte delle Istituzioni e delle PA, che per una ripresa economica non vedranno, auspicabilmente, un percorso diverso da quello orientato alla semplificazione, ad una revisione della suddivisione dei denari disponibili per determinati comparti quali la sanità, le già citate infrastrutture, la tassazione di Imprese e Professionisti. Un percorso attento alla rigenerazione urbana e alla riqualificazione del costruito, una azione legiferante che vada decisamente nella direzione dell’incentivo all’economia circolare e alla ricerca e applicazione su larga scala di energia da fonti rinnovabili e di processi produttivi più attenti alle emissioni e alla quantità e smaltimento dei prodotti di scarto.
Un altro aspetto da considerare è l’impatto che la crisi sanitaria avrà su alcuni obiettivi dell’Agenda 2030 definita dalle Nazioni Unite, che difficilmente verranno conseguiti nei tempi previsti, a meno di una radicale azione strutturale da parte del sistema Paese e degli altri Stati facenti parte dell’ONU.
Per i professionisti Chimici e dei Fisici si delinea fin d’ora un ruolo di grande responsabilità considerate le competenze che possiedono e che si calano nei più diversi comparti, a titolo esemplificativo e non esaustivo in ambito di sanificazione, produzione e certificazione di disinfettanti, e di dispositivi di protezione, di produzione farmacologica, dispositivi medici, sicurezza alimentare, salute e igiene sul lavoro, gestione rifiuti e gestione impianti.
Sarà inoltre cruciale il ruolo che giocheranno le Federazioni, i Collegi e Consigli professionali nel dialogo con le Istituzioni, non per ricostruire, ma per porre nuove basi e stabilire nuovi riferimenti per re-impostare e ri-pensare il sistema Paese mettendo al centro la tutela del lavoro e della salute nostra e del pianeta che ci ospita.
Dott.ssa Chim. Ir. Roberta Giacometti
Consigliere FNCF