Si chiude in questi giorni l’esperienza di “COP 26”, la ventiseiesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Alcuni tra quei partecipanti che chiedevano e si aspettavano riposte chiare e progetti di immediata attuazione giudicano in modo lapidario i risultati ottenuti dalla Conferenza: “un altro bla-bla-bla”.

Non condividiamo appieno questo giudizio e troviamo fortemente ingenerosa la condanna generalizzata di quanto è stato fatto, non fosse altro che perché in tutti questi anni gli sforzi di tutti i soggetti coinvolti, hanno consentito una crescita ed uno sviluppo senza che vi sia stata al contempo proporzionalità diretta nei relativi impatti ambientali, che anzi talvolta sono stati contenuti fortemente rispetto agli indici di proporzionalità dei tempi precedenti al 1997.

Certo, da quanto sono nati i movimenti giovanili a difesa dell’ambiente, noi professionisti del settore abbiamo sempre messo in guardia dai fondamentalismi “senza se e senza ma” avvertendo che, come tutti i fondamentalismi, un approccio, per così dire “manicheo” con una visione unilaterale ad una problematica complessa come quella ambientale su scala planetaria, nelle umane esperienze ha portato sempre non già a soluzioni ma a nuovi “equilibri” e nuovi problemi, talvolta peggiori del male.

Al contempo però non abbiamo ostacolato in alcun modo il movimento giovanile nascente, anzi, nel nostro piccolo lo abbiamo sostenuto ed incoraggiato, ritenendo così di sostenere quelle energie e sentimenti che a nostro modo di vedere stavano ponendo le basi per veder nascere una prossima generazione di uomini e donne che abbiano una coscienza ambientale, per così dire “residente” nel loro DNA e non come le generazioni precedenti che dovevano convincersi delle necessità ambientali sulla base di processi logici, in gran parte comprensibili soltanto agli addetti ai lavori.

Forti delle nostre convinzioni e, come sempre, fortemente intenzionati a dare il nostro contributo alla causa ambientale, ci siamo spesso domandati cosa rendesse così difficile raccordare, anche nelle piccole cose, nel quotidiano, le varie esigenze di tutti i soggetti coinvolti nelle attività con ricadute più o meno immediate sulle matrici ambientali.

La risposta che ogni volta l’analisi razionale del nostro mondo (professionale) ci offre è immancabilmente la stessa: burocrazia e farraginosità dei processi di gestione e controllo ostacolano e spesso vanificano tutti gli sforzi messi in campo. L’analisi è evidentemente condivisa anche da chi amministra e da chi detta le regole, tanto che precetti quali la “semplificazione normativa” o la “riduzione della burocrazia” sono ormai diventati tema di fondo di ogni progetto di evoluzione organizzativa o normativa.

Noi professionisti, devo dire in modo trasversale, non solo Chimici, stiamo da tempo sostenendo che affrontare certe sfide scientifiche potrà essere fatto soltanto servendosi delle qualità intuitive e conoscitive tipicamente umane e non “scimmiottando” un approccio tanto pragmatico quanto ottuso tipico del mondo dell’ ”intelligenza artificiale”, che un giorno arriverà (forse) ad eguagliare le capacità umane, però al momento di “intelligente” ha veramente molto poco.

I nostri grandi Maestri passati, quelli che hanno consentito di poter aspirare all’utopia del benessere generalizzato per la nostra specie, hanno messo in campo risorse e capacità personali di analisi ed adattamento alle situazioni nuove e contingenti, risorse e capacità del tutto umane e ancora tutt’oggi non codificate in nessun algoritmo.

In questo quadro, condivise tutte le premesse, auspichiamo che si approfitti di ogni occasione per muoversi di conseguenza, evitando che poi si vada verso una direzione che non ci si aspetterebbe: strutturazione procedurale rigida che potenzia l’uso di protocolli preorganizzati ai danni dell’applicazione delle capacità scientifiche dello specialista nell’esercizio dell’attività professionale.

In altre parole nuova burocrazia.

E così ci ha sorpreso quando nel settembre 2020 viene emanato il D.Lgs. 121, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”.
La norma è l’attuazione di un precetto comunitario finalizzato alla diminuzione della quantità dei rifiuti destinati alle discariche. Essa interviene sulle due norme di riferimento per la gestione delle discariche di rifiuti: il D.Lgs. 36 del 13 gennaio 2003 che stabiliva cosa poteva andare in discarica e le misure tecniche e procedurali per la loro gestione, e il D.M.A. del 27 settembre 2010, che era, per così dire, il braccio tecnico del D.Lgs. 36 e forniva tutte le indicazioni tecniche per attuare quanto in esso stabilito.
Il D.Lgs. 121, modifica senza abrogarlo il D.Lgs. 36/2003, rivedendone la struttura. All’art. 5 troviamo le prescrizioni relative all’obiettivo della riduzione del collocamento dei rifiuti in discarica che pone la deadline al 31/12/2029. Ci lascia forse un po’ perplessi la forma con cui viene strutturata la regola: “a partire dal 2030 è vietato il collocamento in discarica di quei rifiuti che possono essere valorizzati in qualche modo e comunque fatto salva l’ipotesi che la discarica non sia la destinazione migliore nel rispetto dello spirito dell’art. 179 del D.Lgs. 152/2006”. Come dire non si possono portare in discarica, salvo che si debba farlo. Nulla da obiettare, ma non è un grosso passo in avanti rispetto a quanto già in vigore.
Più oltre si aggiunge che la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica in relazione alla quantità totale di quelli prodotti, deve essere ridotta del 10 % entro il 2035. Non che sia un grande traguardo, ma certamente è un inizio. Evidentemente comunque ci dovremo aspettare antro il 2035 un’altra norma che dia nuovi obiettivi per quanto riguarda gli anni successivi, altrimenti a tale data, rispettato quanto richiesto, dovremo considerare esauriti i nostri obblighi di miglioramento continuo.

Il D.Lgs. 121/2020, abroga invece il D.M.A. 27/09/2010 e ne trasferisce interamente i contenuti dentro il nuovo D.Lgs. 36. Troviamo ad esempio le caratteristiche dei rifiuti destinati ai vari tipi di discarica enunciate negli articoli dal 7 in poi del nuovo decreto. Alcune prescrizioni tecniche che eravamo abituati a trovare negli Artt. 5, 6, 7 e 8 del D.M. 27/09/2010, sono state invece spostate negli allegati della nuova norma.

Sotto il profilo delle caratteristiche tecniche dei rifiuti e delle discariche non troviamo grandi differenze, essendo state trasportate “sic et simpliciter” nella nuova norma semplicemente collocandole in maniera diversa. Anzi, in qualche caso, con una evidente svista, è stata trasportata anche qualche norma tecnica ormai abrogata.

Ci ha sorpreso, dicevamo, l’emanazione di siffatta norma. Ci ha sorpreso non tanto il suo contenuto tecnico, anzi, non fosse altro che per i rinvii a norme di legge non più in vigore, era senz’altro giunto il momento di una revisione del vecchio corpo normativo, ci hanno sorpreso i modi e la struttura di un qualcosa che quasi “gattopardescamente” si va collocare come il nuovo modo di aspirare a benefici ambientali.

Non commenteremo qui il fatto che la norma contiene nuovi vincoli e pregiudizi per i Chimici storicamente operatori del settore che “ipso facto” si vedono cambiate le condizioni per svolgere il proprio lavoro, inibendone la libertà di farlo. Non commenteremo neanche il fatto che la norma sia stata emanata e declinata in modo tale, che, non prevedendo i necessari periodi di adeguamento, produceva i suoi effetti dirompenti con soli 15 giorni di preavviso.
Diremo soltanto che ci siamo battuti in tutti i modi e in tutti i tavoli per far notare tali discrasie e chiedere la giusta tutela di chi, nel pieno rispetto di ogni legge, prima fra tutte quella costituzionale che garantisce la libertà di impresa, ha operato per decenni nel settore mettendo a disposizione risorse e professionalità. Purtroppo non siamo stati ascoltati.

Ci saremmo però aspettati l’enfatizzazione del ruolo dei professionisti che operano nel settore.
Noi professionisti della materia, chiediamo una maggior enfasi del nostro ruolo professionale, offriamo un bagaglio di esperienza e conoscenze vaste e profonde e ci rendiamo disponibili a supportare tutti gli organismi pubblici preposti alla gestione di ogni fase anche in una logica di sussidiarietà.

Ricordiamo che riuscire a comprendere il contenuto chimico di una massa informe, complessa, potenzialmente instabile e quasi sempre anisotropa quale quella di un rifiuto, richiede profonde conoscenze della chimica, richiede una visione del quadro d’insieme sufficientemente vasta ed al contempo accurata, richiede profonde capacità di riconoscere le condizioni per il realizzarsi di processi chimici inattesi e potenzialmente pericolosi per le matrici ambientali o per i presidi di protezione posti a tutela di questi.

E certamente, riflettiamo, non basta un’esametto di chimica superato con qualche difficolltà decenni addietro per conferire la capacità professionale necessaria a comprendere, prima ancora che gestire, una materia così complessa.

Riteniamo quindi che la sfida si potrà vincere preparando ed utilizzando professionalità sempre più spinte e solide nella materia chimica ed al contempo riteniamo per lo più inefficace, e talvolta deleterio se non pericoloso ricorrere unicamente a rigidi protocolli procedurali che hanno l’ambizione di programmare “ex legis” tutte le azioni che dovranno essere adottate.

In fondo il mondo reale non è un computer.

 

Dott. Chim. Renato A. Presilla
Consigliere FNCF