In questo periodo in cui ci siamo confrontati con il COVID-19 e abbiamo riconsiderato le nostre priorità, è arrivato il momento di fare una riflessione globale anche sul cibo. Un’analisi non tanto lontana e astratta, visto che il virus ha portato via il lavoro a molte persone vicine a noi o le ha costrette alla cassa integrazione, obbligandole a confrontarsi con qualcosa di inaspettato: povertà e fame.
Un buon punto di partenza sarebbe sensibilizzare i consumatori sugli sprechi alimentari, un tema che negli anni ha visto crescere l’attenzione degli italiani. Oggi, stando al rapporto diffuso dall’ Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/Swg, lo spreco alimentare domestico è calato del 25%. Noi italiani siamo più attenti a quello che compriamo, leggiamo l’etichetta degli alimenti e evitiamo di gettare il cibo. A migliorare è stata anche la nostra consapevolezza sulle conseguenze – non solo in termini economici ma anche ambientali – derivanti dagli sprechi. Ciò nonostante, nelle nostre case si gettano ogni anno 27,5 kg di cibo.
Nel mondo, con più di un miliardo di tonnellate di cibo che ogni anno finisce nel cassonetto, lo spreco alimentare rimane un problema aperto. I paesi meno attenti sono gli Emirati Arabi Uniti, seguiti da Bulgaria e Russia (dati Food Sustainability Index), ma ci sono anche esempi virtuosi come quello della Francia, dell’Olanda e del Canada.
Guardando a questi paesi, le strade per ottenere risultati positivi e concreti sembrerebbero due: lavorare con i consumatori, ma anche con chi quotidianamente si occupa di fornire loro i prodotti alimentari. La Francia è stata il primo paese a vietare ai supermercati di gettare il cibo in scadenza, che adesso viene donato ad enti benefici e ad associazioni umanitarie. Si devono al contempo promuovere atteggiamenti responsabili come una spesa oculata (complici le offerte 3×2, in molti, acquistano più di quanto consumano), il riciclo dei rifiuti organici e diete più salutari (la Francia, ancora, è tra i paesi con una quota di obesità tra le più basse al mondo).
Bisognerebbe poi fare attenzione a quello che si mette ogni giorno nel piatto, per capire l’impatto che certi alimenti hanno sul nostro organismo, ma soprattutto sull’ambiente.
Se, ad esempio, prendiamo in considerazione il grande consumo di quinoa e di soia, preferite da molti come alternative proteiche alla carne, non possiamo non sottolineare il fatto che la loro massiccia produzione abbia alterato sensibilmente gli equilibri naturali e sociali dei paesi in cui vengono coltivate. E allora i prodotti OGM? Potrebbe ribattere qualcuno. Generalmente conosciuti per lo stereotipo negativo ad essi attribuito, presentano innegabili vantaggi. In campo agricolo, l’impiego degli OGM mira all’ottenimento di piante resistenti a virus, batteri e insetti per diminuire l’uso di pesticidi e combattere malattie difficili da controllare con i mezzi artificiali, ma anche resistenti a stress ambientali per proteggere i raccolti e per estendere la coltivazione a quelle terre attualmente non utilizzabili. Nel campo alimentare poi, queste tecnologie cercano di migliorare le caratteristiche nutrizionali e organolettiche dei cibi e di aumentare la conservabilità dei prodotti.
Questo ci fa capire come la scienza possa dare il suo contributo a tavola, e suggerisce come la chimica e l’alimentazione, settori apparentemente lontani, siano uniti da legami forti. I benefici che questa scienza apporta a tutta la filiera agro-alimentare possono essere individuati seguendo un approccio riassumibile con l’espressione Dal campo al piatto, per spiegare come ogni anello della catena alimentare, dalle materie prime ai prodotti finiti, sia legato in maniera indissolubile a quelli che lo precedono e lo seguono. Dai fertilizzanti agli agrofarmaci, dalle biotecnologie ai medicinali per gli animali d’allevamento, dagli additivi alimentari agli aromi, dalle materie plastiche ai gas industriali, la chimica fornisce un aiuto fondamentale in termini di innovazione, miglioramento e fornitura di materie prime sicure e controllate, rispetto per l’ambiente e sostenibilità.
Concludendo, possiamo dirlo: la chimica nella filiera alimentare è in grado di contribuire, significativamente, a un’alimentazione più sostenibile, perché può fornire soluzioni a problemi quali l’incremento dei fabbisogni alimentari mondiali, aiutare a migliorare la gestione dell’energia impiegata, nonché rispondere ad alcune richieste alimentari specifiche dei singoli individui.