L’utilizzo di materie prime rinnovabili per la produzione di chemicals è uno dei pilastri del Green Deal europeo, come ribadisce anche la
recente comunicazione della Commissione “Building the future with nature” che propone otto azioni per supportare appieno il biomanufacturing, tra le quali semplificare il quadro normativo e facilitare l’accesso al mercato dei bioprodotti, rivedere i metodi per la valutazione dell’impatto ambientale, che talvolta penalizzano i prodotti bio-based, incoraggiare investimenti privati e pubblici. Con
questi obiettivi la Commissione annuncia la revisione della strategia europea per la bioeconomia entro la fine del 2025.

 

Questo meta-settore incide per l’11% sul valore della produzione dell’economia nazionale, come è stato evidenziato dal rapporto annuale condotto da Intesa Sanpaolo. Un’indagine presentata, invece, da Cluster Spring, Unioncamere e Istituto Tagliacarne su un campione di 2.000 imprese italiane nel periodo 2022-2023 ha messo in luce che la transizione dal fossile al rinnovabile è legata alla richiesta del mercato di riferimento (67% del campione) e, soprattutto, è considerata un’evoluzione naturale del settore (circa il 75%). In aggiunta, le imprese bio-based registrano migliori prestazioni rispetto alle fossil-based, sia in termini di fatturato sia in termini di resilienza. Infatti, nel 2022 più
della metà delle stesse ha registrato un aumento del fatturato contro il 42,8% delle non bio, mentre il 34,8% delle prime ha superato i livelli produttivi pre-Covid contro il 25,1% delle seconde.

 

La capacità dell’industria chimica di produrre nuovi materiali a partire da materie prime rinnovabili e non più da fossili, nonché di trasformare impianti e processi a questo scopo ne fa un potente vettore di transizione verso la decarbonizzazione.
L’impatto è ancor maggiore se la materia rinnovabile proviene da un residuo, ovvero si tratta di materia prima seconda. Un approccio circolare, infatti, contribuisce significativamente a diminuire la pressione sulle risorse naturali, ridurre o eliminare i
rifiuti e soddisfare i criteri ESG, Environmental Social Governance.

 

Il tema della valorizzazione di residui è molto presente nel mondo della ricerca scientifica, soprattutto per quel che riguarda i residui dell’agroindustria, ma alcuni esempi cominciano ad emergere anche nel panorama industriale italiano. È il caso di un’impresa produttrice di ausiliari chimici impegnata nel limitare o eliminare l’uso di risorse in contrasto con i principi di sostenibilità, che ha recentemente annunciato l’introduzione, tra i suoi prodotti, di un nuovo coating 100% bio-based ottenuto a partire dalla cutina estratta dalle buccette di pomodoro e sviluppato insieme ad una start-up italiana. Questo coating non solo è di origine naturale e valorizza uno scarto della lavorazione del pomodoro da industria (questi scarti in Italia ammontano a 350.000-500.000 t/anno), ma mostra anche elevate proprietà barriera, indispensabili perché il passaggio da plastica a carta negli imballaggi per il cibo sia effettivamente realizzabile.
Un secondo esempio riguarda una cartiera impegnata fin dagli anni Novanta per creare delle carte innovative che fossero sostenibili dal punto di vista ambientale, producendo carte grafiche che riutilizzano sottoprodotti agro-industriali, della pelletteria
e del tessile.

 

Prof.ssa Nicoletta Ravasio