Con la definizione di economia circolare si indica un modello di produzione e consumo che implica una serie di precise caratteristiche, come il riciclo, il riutilizzo, la riparazione, il ricondizionamento, il prestito e la condivisione di materiali. In questo modo si allunga il ciclo di vita dei materiali e dei prodotti che, una volta terminata la loro funzione, vengono reintrodotti nel ciclo economico generando ulteriore valore e riducendo l’impatto che proverrebbe dai rifiuti.
Questi principi differiscono dal tradizionale modello economico lineare, oramai superato perché ottimizzato, e che era basato sull’estrazione di materie prime, sulla produzione e il consumo di massa e sullo smaltimento degli scarti. Il modello economico tradizionale dipendeva fortemente dalla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo, condizioni oggi sempre più difficili da coniugare.
L’introduzione teorica dell’economia circolare risale alla metà degli anni ’60 del XX secolo, ma solo nel ventunesimo ha cominciato ad essere concretamente applicata, a partire dalla Cina nel 2006.
E l’industria chimica, come si inserisce nell’economia circolare? Il settore sta vivendo una stagione di grandi cambiamenti: dalla trasformazione digitale a una crescente attenzione all’utilizzo di risorse efficienti e rinnovabili nel rispetto dell’ambiente, secondo la filosofia del “fare di più con meno”.
La chimica ha un ruolo fondamentale in questo contesto perché si colloca sia a monte che a valle di numerose filiere, e consente di applicare le opportune competenze tecnologiche per guidare il cambiamento. La fase di recupero, ad esempio, è di fondamentale importanza perché vengono presi in considerazione diversi percorsi innovativi nel riutilizzo dei rifiuti e nella loro trasformazione in nuove risorse. In questo panorama si inserisce il riciclo chimico che riguarda la frazione di plastica mista e che comprende processi come la gassificazione, la pirolisi, la solvolisi, la chemiolisi e la depolimerizzazione, che scompongono (ad esempio) i rifiuti di plastica in sostanze chimiche di base, inclusi i monomeri per la produzione di plastiche. Di fatto, con questo metodo di riciclo si può diminuire considerevolmente la percentuale di rifiuti in plastica che vengono inceneriti o mandati in discarica.
Il trattamento meccanico delle diverse materie plastiche viene effettuato per ottenere un materiale più possibile simile al corrispondente polimero vergine.
In questo modo aumentano il suo valore e le sue possibilità di reimpiego, ad esempio in edilizia, in agricoltura o per la produzione di beni durevoli.
L’Italia, per quanto riguarda il riciclo e l’indice di circolarità, è già ben posizionata a livello europeo, ma la speranza è che gli investimenti previsti dal PNRR (Piano Nazionale Ripresa Resilienza) e le riforme ad essi associate permettano di colmare al più presto i gap ad oggi evidenti.
I vantaggi che comporta il passaggio a un nuovo modello economico possono essere molteplici: si stima che entro il 2030 questo atteggiamento porterà a una riduzione fino al 24% delle materie prime, con un risparmio di 630 miliardi di euro e una crescita del PIL europeo del 3,9%.
In conclusione si può affermare che ciascuno di noi può diventare un esempio di economia circolare nel proprio piccolo. Sforzandoci di cambiare qualche abitudine, giorno dopo giorno miglioreremo le nostre condizioni di vita e quelle dell’ambiente in cui viviamo.