Partiamo da una breve premessa. Internet e il cyberspazio in generale sono oggi diventati il principale luogo di informazione con risvolti educativi molto permeanti sui giovani e non solo. Gli studenti dedicano più tempo e prestano maggiore attenzione nell’interazione con gli strumenti digitali che nel dialogo quotidiano con insegnanti e familiari.

Le tecnologie dell’informazione hanno radicalmente trasformato il mondo: ormai nei paesi industrializzati più dell’ 80% della popolazione è collegata ad internet. Questa “facilità” nel reperire informazioni paradossalmente sta creando una società della disinformazione o di parziale informazione. Inoltre questo “sapere” a disposizione di tutti genera una sorta di inedita resistenza ad apprendere, cedendo al rischio di farsi manipolare, perdendo di visione di insieme, la capacità di astrazione e ragionamento e con la difficoltà ad esercitare il pensiero scientifico razionale. In pratica manca la base scientifica per poter avere capacità di valutazione critica sul bombardamento di  informazioni spesso parziali, in divenire o provenienti da fonti non istituzionali.

La mescolanza di questo eccesso di informazione da un lato e dal basso livello sostanziale dell’informazione dall’altro generano alla fine disinformazione o una percezione del sapere e delle conoscenze molto superficiale. Ecco che oggi più che in passato la scuola può e deve svolgere un ruolo basilare nella formazione di una conoscenza di base che fornisca gli strumenti  per formare persone con coscienza critica e capacità di ragionamento.

Le scienze in generale e la chimica in particolare soffrono di un difetto di attenzione nel panorama culturale e delle politiche della scuola.

Le varie riforme della scuola, almeno negli ultimi dieci anni, hanno mirato più ad un risparmio economico utilizzando una razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti e non già ad un miglioramento dell’offerta formativa scolastica superiore. Il principio che ha guidato questi provvedimenti non ha a che fare con la qualità dell’insegnamento o il bene degli studenti. Il principio è quello di dare una cattedra ai soprannumerari in una certa disciplina, considerando poco o addirittura non considerando le competenze dei docenti a danno dei discenti. Nelle Università contestualmente in questi anni  si è visto un prolificare di corsi spesso inutili o poco spendibili nel mercato del lavoro, e più che altro orientati a un percorso di ricerca articolato in ambito accademico nazionale e internazionale.

Ciò ha determinato un peggioramento della qualità di insegnamento della chimica ed una drastica riduzione della preparazione degli studenti riconosciuta dagli organismi di certificazione internazionale. Riscontrabile, almeno per la chimica, anche dai risultati dei test di ingresso per la  l’iscrizione alla Laurea in medicina. La disciplina Chimica è sempre stata quella sulla base della quale è stata fatta la selezione, risultando la materia con il minor numero di risposte corrette. Più che un problema legato alla difficoltà della materia, è pensiero comune che questo sia il risultato di una scarsa capacità di trasmetterla da parte di insegnanti nei Licei per i quali la chimica non è la materia di elezione.

Tali scelte negano di fatto, a mio parere, all’insegnamento scientifico la possibilità di svolgere un compito significativo nella formazione culturale degli studenti e impediscono alla scuola di dare ai cittadini gli strumenti idonei per assumere decisioni consapevoli in una società fortemente tecnologica quale la nostra.

Ad oggi gli insegnanti delle scuole secondarie vengono formati attraverso percorsi universitari monodisciplinari (fisica, chimica, biologia, , ecc.) e abilitati all’insegnamento, di norma, in classi pluridisciplinari. Per cui ad uno stesso insegnante viene richiesto di insegnare materie delle quali nel proprio percorso universitario ha visto poco o nulla.

Inoltre senza pratica le capacità legate all’alfabetizzazione possono essere perse anno dopo anno. Molti docenti laureati in discipline diverse dalla chimica hanno carenza di esperienze laboratoriali nei loro curricula e quindi difficilmente riusciranno a trasmettere alcuni aspetti pratici che discipline come la chimica prevedono.

Bisognerebbe ripensare la formazione almeno specificatamente per il settore chimico che ha ancora grandi possibilità occupazionali ma sconta purtroppo la difficoltà di far percepire ai giovani le proprie potenzialità, cosa causata spesso dalla mancata trasmissione dell’interesse sulla materia durante gli anni di scuola superiore, dovuta in particolar modo al fatto che la chimica viene spesso insegnata, come detto, da docenti laureati in altre discipline.

Anche i corsi universitari in chimica non sono esenti da responsabilità. Corsi che formano ottimi laureati per il mondo della ricerca ma che incontrano grosse difficoltà nell’affrontare il mondo della libera professione. Sarebbe per questo motivo auspicabile che le Università si aprissero maggiormente alla collaborazione con gli Ordini Territoriali dei Chimici e dei Fisici e che alcune materie fossero introdotte obbligatoriamente nel curriculum studiorum degli studenti.

Concludo con una citazione tratta dal libro Macchine Molecolari di A. Credi e V. Balzani che farebbe bene aprire nelle scuole secondarie ogni inizio anno, la prima lezione di chimica: “È difficile immaginare una qualsiasi manifestazione della nostra vita quotidiana in cui la chimica non sia in qualche modo coinvolta. La vita è chimica in azione. Si può ben dire che vivere senza chimica non è possibile, e che il nostro futuro, senza l’indispensabile apporto della scienza chimica, sarebbe assai peggiore.”

 

Dott. Chim. Giuseppe Panzera

Consigliere FNCF