Una delle cause principali del cambiamento climatico sono le emissioni di gas serra legate all’attività dell’uomo e il conseguente aumento della temperatura globale. Grazie alla decarbonizzazione ovvero al passaggio dai combustibili fossili a fonti di energia rinnovabili a zero emissioni di carbonio, gli Stati e le aziende di tutto il mondo puntano a ridurre e azzerare le emissioni di anidride carbonica. Una delle chiavi per il contenimento e l’azzeramento dei gas serra è la decarbonizzazione energetica. Infatti il comparto dell’energia (produzione di energia elettrica, termica, riscaldamento e trasporti) è di gran lunga il principale responsabile della CO2 emessa in atmosfera, con l’80,7% del totale, seguito dall’8,72% dell’agricoltura e dal 7,82% dei processi industriali e dell’uso dei prodotti. In ultima posizione con il 2,75% c’è il trattamento dei rifiuti. Ne consegue che se si vogliono abbassare le emissioni di gas serra in atmosfera, sarà necessario intervenire in modo progressivamente sempre più forte sul settore dell’energia. Questo vorrà dire essenzialmente passare dall’utilizzo di fonti di energia da combustibili fossili come il petrolio, il gas e il carbone a fonti rinnovabili, che si tratti di utilizzarli per il riscaldamento, per la produzione di energia elettrica, per l’industria o per i trasporti.
Il passaggio dal fossile al rinnovabile, punto chiave nella lotta al cambiamento climatico e nella direzione della sostenibilità, rappresenta però un percorso che pone delle sfide tecniche e d’infrastruttura, anche perché non ci si può permettere di destabilizzare le reti, né di causare blackout o interruzioni del servizio.

Per arrivare a questo risultato si può scegliere, in prima battuta, di utilizzare fonti fossili con un minore contenuto di carbonio, ad esempio privilegiando il gas naturale in luogo del carbone, oppure sostituire progressivamente le fonti di produzione fossili più inquinanti con quelle rinnovabili, quindi l’eolico, il fotovoltaico e le biomasse, che hanno la capacità di decarbonizzare in maniera molto più intensa il sistema energetico globale. Questo non vuol significare che il passaggio a fonti ecosostenibili sia impossibile o a lungo termine, occorre iniziare il prima possibile a diversificare pesantemente le fonti energetiche, specie per un Paese come il nostro povero di risorse fossili ma potenzialmente ricco di risorse rinnovabili come il sole, vento e biomasse.

L’energia dalle biomasse è un’energia pulita che riduce la dipendenza dai combustibili fossili. Le biomasse sono composte da materia organica generata dalle piante e dagli animali, appositamente trattata per essere utilizzata come biocombustibile. I cascami dell’industria del legno, gli scarti delle lavorazioni dell’industria agroalimentare, i rifiuti organici urbani, le ramaglie verdi di attività forestali e agricole, le alghe marine, gli scarti e reflui di allevamenti, sono i materiali di origine organico-vegetale dai quali si produce energia. Quando le biomasse vengono bruciate, rilasciano calore ed emettono una quantità di anidride carbonica assimilabile a quella assorbita in natura nel corso di un ordinario processo di fotosintesi.

Il recupero energetico di biomasse residuali rappresenta un tema di profonda attualità, sia per rispettare gli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto, sia per la necessità da parte dell’Italia di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Facendo riferimento alle tecnologie oggi economicamente utilizzabili, le più performanti prevedono la digestione anaerobica per la produzione di biogas finalizzata alla produzione di energia elettrica e termica, la combustione o più in generale processi termochimici per la produzione di energia elettrica e/o termica ed i processi di trasformazione chimico-fisici orientati alla produzione di biocarburanti. Come tutti i mercati, quello della bioenergia può essere considerato da due punti di vista: da una parte c’è l’offerta di materia prima e dall’altra la domanda di biomassa.
Per quel che riguarda l’offerta, la disponibilità di materia prima è il fattore decisivo, mentre i principali aspetti che influenzano la domanda sono i clienti, i prezzi e le condizioni di approvvigionamento. In generale, le biomasse residuali sono classificate in base alla destinazione d’uso come biomasse solide, liquide e gassose per processi pirolitici, come per esempio la combustione in caldaie e biomasse solide e liquide da destinare alla digestione anaerobica.
Per ciascuna tipologia, al fine di poterne valutare l’idoneità e la resa per un possibile utilizzo a fini energetici, si prendono in considerazione alcuni parametri chimico-fisici, il periodo di disponibilità, la diffusione sul territorio e la propensione economica al recupero. Essendo il territorio italiano per buona parte agricolo, risulta che gli scarti di potatura degli alberi da frutto, delle viti, dei parchi e delle alberate urbane, assieme alla pulizia dei boschi, sono idonei per un possibile riutilizzo dal punto di vista energetico. A titolo di esempio i vigneti producono grandi quantità di residui che possono essere stimate moltiplicando la superficie agricola utilizzata (SAU) per un coefficiente, determinato dal CEESTAT (Centro Studi sull’Agricoltura, l’Ambiente e il Territorio). La vite produce in media 2,9 tonnellate di residui di potatura per ettaro coltivato a vigneto, pari a quelli derivanti dalla coltivazione del pesco o del nocciolo.
Normalmente tutti questi scarti non sono valorizzati e vengono smaltiti lasciandoli decomporre in loco per fare compost. Spesso, anche se la pratica è vietata, sono dati alle fiamme. La principale resistenza al recupero di queste biomasse è il costo e/o la difficolta del loro recupero mediante apposite macchine imballatrici che spesso devono operare tra stretti filari o con pendenze elevate. Le biomasse recuperate sono normalmente trasformate in cippato e in seguito utilizzate tal quali come combustibile o trasformate in pellet per uso industriale.

Il recupero energetico può avvenire essenzialmente in due modi: per combustione diretta in grandi impianti con caldaie e turbine a vapore, o in impianti più piccoli mediante reattori di pirogassificazione. Questi ultimi sfruttano una combustione in difetto d’aria in modo che il calore prodotto dalla parziale ossidazione produca la pirolisi della restante biomassa con la produzione di un gas che alimenta un motore a pistoni collegato ad un generatore. A differenza degli impianti a combustione che producono essenzialmente ceneri, i pirogassificatori producono un residuo carbonioso simile al carbone di legna che prende il nome di biochar. Il biochar se privo di sostanze tossiche è impiegato in agricoltura come ammendante grazie alle sue proprietà di migliorare la fertilità del terreno. In questi casi interrando il biochar, si ha un’ulteriore diminuzione del contenuto atmosferico di anidride carbonica, infatti solo una parte della CO2 assorbita dalla pianta nel suo ciclo vitale è reimmessa in atmosfera. Visti in quest’ottica questi impianti hanno solo vantaggi, ma purtroppo la realtà è ben diversa. Il principale svantaggio è il costo della materia prima, questi impianti sono remunerativi solo se la biomassa è a costo zero o quasi, inoltre il biochar prodotto se di non buona qualità deve essere smaltito come rifiuto. Questi impianti risultano remunerativi dove si ha tanta biomassa a prezzi irrisori come ad esempio dove si effettua la pulizia dei boschi per evitare incendi o per mantenerli facilmente fruibili a scopo turistico o ricreativo. Impianti altamente remunerativi, sotto diversi aspetti, utilizzano una biomassa derivante dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani. In questo caso l’impianto è alimentato con FORSU, fanghi di depurazione, indifferenziato PAP, sfalci di potatura e altri materiali combustibili, ottenendo una risposta energetica efficace per le piccole e medie comunità fino a 250 mila persone.

Non bisogna però dimenticare che il recupero di sarmenti di vite o delle potature degli alberi da frutto può essere vantaggioso da un punto di vista sociale per comunità di giovani, di disabili o in zone ad alto tasso di disoccupazione. Le industrie di trasformazione del legno possono trarre vantaggio dall’utilizzo di impianti di pirogassificazione alimentati dagli scarti di segheria per produzione di energia elettrica e termica da utilizzare per la conduzione degli impianti e vendere il surplus alla rete nazionale.

In conclusione se proviamo a immaginare come dovrà essere la gestione energetica del futuro, è certo che serviranno ricerca e flessibilità. Tutte le tecnologie e strategie attualmente in atto non possono e non potranno portare ad alterazioni improvvise dell’equilibrio tra domanda e offerta di energia e stress di rete. Situazioni eccezionali imporranno una gestione con impianti capaci di accumulare efficientemente energia, ad esempio quella da impianti più ecosostenibili ma più incostanti, affrontando in tempo reale le situazioni critiche, per poi ritornare in condizioni di normalità.

 

Dott. Chim. Marco Ginepro