Il 10 aprile 2024 è stata approvata in via definitiva dal Parlamento UE la proposta di direttiva che andrà a sostituire la storica direttiva 1999/271/Ce relativa al trattamento delle acque reflue urbane, recepita in Italia dal Decreto Legislativo 152/2006, Parte III.
Tra le principali novità della proposta di direttiva, che deve essere ora approvata anche dal Consiglio UE, rientra la nuova “road-map” per l’entrata in vigore degli obblighi di trattamento delle acque reflue urbane in funzione della popolazione equivalente servita. In particolare:
● tutti gli agglomerati con popolazione servita di almeno 1.000 abitanti equivalenti (a.e.) dovranno essere dotati di un trattamento secondario per la rimozione degli inquinanti biodegradabili entro il 2035;
● tutti gli agglomerati con popolazione servita di almeno 150.000 a.e. dovranno essere dotati di un trattamento terziario per la rimozione di azoto e fosforo entro il 2039;
● tutti gli agglomerati con popolazione servita di almeno 150.000 a.e. ed in alcuni casi superiore a 10.000 a.e. dovranno essere dotati di un trattamento quaternario per la rimozione di alcune tipologie di microinquinanti entro il 2045.
I costi di quest’ultimo trattamento dovrebbero essere posti principalmente a carico delle aziende produttrici, sulla base del criterio di responsabilità estesa del produttore, principio che presenta notevoli criticità di applicazione.

La nuova direttiva prevede inoltre regole maggiormente restrittive anche per il monitoraggio di alcuni parametri di salute pubblica relativi ad inquinanti chimici (comprese le cosiddette “sostanze chimiche eterne” come le sostanze per- e poli-fluoroalchiliche “PFAS”), alle microplastiche, agli agenti patogeni (virus e batteri) ed alla resistenza antimicrobica.
È previsto infine l’obbligo degli Stati membri di promuovere il riutilizzo delle acque reflue trattate, in particolare nelle zone soggette a stress idrico.

Tutte queste misure avranno un impatto sul costo dei servizi di fognatura e depurazione per gli utenti, in applicazione del principio che i costi devono essere interamente coperti dalle tariffe.
A fronte di quanto prescritto dalla proposta di direttiva, occorre sottolineare che tra le 20 procedure di infrazione in materia ambientale a carico dell’Italia, la matrice “acque” compare in ben 5 casi, di cui 4 relative alla direttiva 1999/271/Ce, la prima aperta nel 2004 e l’ultima nel 2017.

 

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Le acque reflue urbane sono la somma di tre componenti: scarichi domestici, acque meteoriche ed acque reflue industriali. La tariffazione del servizio di fognatura e depurazione di questa ultima componente è stata recentemente oggetto di contenzioso fra alcune grandi aziende produttive ed il gestore del servizio idrico integrato.
ARERA, l’autorità nazionale di regolazione per energia reti e ambiente, ha competenza anche per il settore idrico; nel settembre 2017, con la deliberazione 665/2017/R/IDR, ha emanato i nuovi criteri per la tariffazione degli utenti del servizio idrico, tra cui anche gli utenti industriali che immettono in fognatura i loro scarichi produttivi.
Le finalità dichiarate da ARERA per la regolamentazione di questo settore sono :
● il superamento delle difformità di trattamento attualmente rilevabili sul territorio nazionale sulla base dell’applicazione della normativa previgente (formula-tipo di cui al D.P.R. 24.05.1977), introdotta in fase di applicazione della legge 319/76 (Legge Merli);
● l’applicazione concreta del principio “chi inquina paga”, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire la sostenibilità economica della tariffa per gli operatori industriali.

Il calcolo dei corrispettivi di fognatura e depurazione a carico delle industrie autorizzate allo scarico in fognatura è funzione della qualità dello scarico – caratterizzata principalmente dai valori assunti dai parametri: richiesta chimica di ossigeno (C.O.D.), solidi sospesi totali (S.S.T.), azoto e fosforo totali, oltre che della quantità (volume) dei reflui scaricati.

Una novità di rilievo è l’introduzione della “quota di capacità”, correlata al fatto che il gestore del servizio deve lasciare disponibile nel proprio impianto una porzione di processo, riservata al liquame in arrivo dallo specifico utente, con la relativa qualità (C.O.D. e S.S.T. prescritti in autorizzazione) e quantità (volume massimo autorizzato).

Il metodo tariffario ARERA prevede un ruolo attivo del gestore del servizio idrico, per determinare le caratteristiche dello scarico, con rilevazioni frequenti del volume scaricato nonché con il prelievo e l’analisi dei reflui immessi in fognatura. Il numero di rilevazioni volumetriche e di controlli analitici da eseguire è funzione dei volumi scaricati (m3/giorno e m3/anno) e della presenza o meno di sostanze pericolose nello scarico.

L’adeguamento al nuovo metodo non è sempre risultato semplice e tempestivo, ed ancora oggi, ad oltre 6 anni di distanza dalla sua adozione, persistono problemi di applicazione che talora danno luogo a contenziosi giudiziari.
Le cause sono da ricercare sia nella complessità delle formule tariffarie previste, che nel cambio di mentalità che si richiede al gestore del servizio, qualora sia poco abituato ad interagire con utenti autorizzati allo scarico, ed infine nel notevole impatto economico che in alcuni casi comporta per gli insediamenti produttivi.
Va rilevato sotto questo profilo che il nuovo metodo ARERA non tiene conto dalla biodegradabilità del liquame scaricato, determinando aggravi di costi assai significativi per alcune tipologie di aziende, ad esempio per le aziende del settore alimentare, come quelle vitivinicole e lattiero-casearie. Pertanto scarichi che potrebbero risultare utili al processo depurativo dell’impianto di trattamento terminale della pubblica fognatura, sia per il processo di rimozione dell’azoto, che per la produzione di biogas/biometano (ove presente la digestione anaerobica), tendono a venire pretrattati dal produttore prima di essere scaricati in fognatura.
Una causa di controversie è la tendenza di alcuni gestori a non dare applicazione al meccanismo di gradualità nell’introduzione del nuovo metodo, espressamente previsto da ARERA, che limita l’aumento di costo ammissibile al 10 percento annuo a parità di reflui scaricati.

 

Dott. Chim. Eugenio Lorenzi