Una delle chiavi per il contenimento dei gas serra è la decarbonizzazione energetica. Per capirne i motivi, bisogna andare indietro nel tempo. Il carbone, infatti, è stato utilizzato sin dall’antichità come combustibile, soprattutto nelle fornaci per fondere i minerali metallici. L’olio non raffinato inoltre è stato bruciato per secoli nelle lampade per favorire l’illuminazione; gli idrocarburi sono stati utilizzati per l’impermeabilizzazione e per l’imbalsamazione. L’impiego su più larga scala dei combustibili fossili ha avuto inizio durante la Prima Rivoluzione Industriale, quando carbone e petrolio hanno cominciato ad essere sfruttati come carburanti per i motori a vapore. Nel corso della Seconda Rivoluzione Industriale, i combustibili fossili venivano usati per fornire energia ai generatori elettrici e l’invenzione del motore a combustione interna ha aumentato le richieste di petrolio in modo esponenziale. Con il passare del tempo è emersa anche l’industria petrolchimica, specializzata nell’usare il petrolio per ottenere prodotti derivati di varia natura. Intanto, i clorofluorocarburi immessi nel mercato ed impiegati anche come refrigeranti nei paesi più industrializzati, reagivano con l’ozono stratosferico provocandone la degradazione. Finché, negli anni ’80, si è cominciato a parlare di “buco”. Questi gas sono stati successivamente vietati grazie al Protocollo di Montreal, firmato nel 1987. Nonostante i risultati positivi ottenuti con il passare del tempo con la messa a punto di diverse generazioni di sostanze, i dibattiti e gli studi non si sono mai fermati. Anche perché è entrato in gioco il problema dell’effetto serra che ha aperto nuovi scenari.

Tornando al presente, se analizziamo i dati diffusi dall’Unione Europea, notiamo che il settore dell’energia è il principale responsabile della CO₂ emessa in atmosfera con l’80,7% del totale, seguito dall’8,72% dell’agricoltura e dal 7,82% dei processi industriali. In ultima posizione, con il 2,75%, c’è il trattamento dei rifiuti.
La strada da seguire è quella di favorire la decarbonizzazione dei processi industriali secondo il piano fissato dagli accordi internazionali e dai singoli stati. Per raggiungere questo obiettivo, si possono ad esempio utilizzare fonti fossili con un minore contenuto di carbonio, come il gas naturale al posto del carbone, oppure – come sta facendo l’Europa – si possono scegliere fonti rinnovabili come ad esempio l’eolico o il fotovoltaico che aiutano a perseguire un approccio energetico e produttivo volto alla riduzione del consumo di risorse fossili. Esistono anche altri metodi, più complicati e costosi, come le tecniche che impediscono il rilascio di CO₂ con sistemi di depurazione dei fumi industriali o quelle che catturano l’anidride carbonica già presente nell’aria e la stoccano. È molto più semplice, anche se le spese vengono ammortizzate nel tempo, contenere le emissioni e moltiplicare tutte quelle risorse naturali utili ad assorbire CO₂ come le piante e gli alberi.

E l’Italia? Ripercorrendo la sua storia è stata l’unica, tra le nazioni più grandi, a essersi industrializzata pur non disponendo di riserve di combustibili fossili particolarmente estese, accessibili ed economiche. Nel corso del tempo ha perciò sperimentato una varietà di strade per ridurre il peso del carbone, poi del petrolio e oggi del gas: tutti provenienti dall’estero.
Proprio negli ultimi anni, il nostro Paese ha fatto importanti passi avanti per adeguarsi agli obiettivi europei in materia di energia e ambiente. In particolare, tra il 2010 e il 2020, ha aumentato la quota delle rinnovabili nel proprio sistema energetico. Nel 2018 (dati ISPRA) è arrivata ad allinearsi con la media europea delle emissioni di gas serra nazionali per unità di consumo interno lordo di energia.
Il risultato è molto positivo se si pensa che alla media UE contribuisce una quota di energia di origine nucleare. La “svolta” in ogni caso è arrivata con l’adozione del PNIEC: il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, in cui vengono stabilite le modalità con cui l’Italia dovrà raggiungere gli obiettivi europei entro il 2030.
L’obiettivo per il nostro Paese è di continuare nel solco della decarbonizzazione dei processi industriali, passando da un assetto centralizzato a uno basato prevalentemente sulle fonti rinnovabili, adottando al contempo provvedimenti che contribuiscano all’integrazione di queste nel sistema.

La chimica, in particolare la chimica fine, la chimica industriale e la chimica verde giocano un ruolo fondamentale in questo processo.
Pensiamo ad esempio ai biolubrificanti: dalle ricerche è emerso che il loro utilizzo ha un impatto positivo sulle condizioni di salute per via dell’alta tollerabilità igienico-sanitaria e perché migliora la qualità dell’aria. I biolubrificanti, oltre a non costituire un rischio per l’ambiente, sono utilizzabili in un’ampia gamma di settori, come l’industria tessile, conciaria, cartaria, metallurgica, metalmeccanica, estrattiva e di escavazione, agroalimentare, farmaceutica e in agricoltura.
Con la decarbonizzazione energetica inoltre, si potrebbero incre

mentare notevolmente i posti di lavoro, aumentando l’occupazione nel settore energetico. Lo evidenzia lo studio, effettuato dall’Institute for Sustainable Future di Sydney (ISF), che utilizza per lo scenario italiano una metodologia già applicata su scala globale dalla stessa ISF insieme all’Agenzia aerospaziale tedesca e all’Università di Melbourne.
E se tutto questo non fosse sufficiente per accelerare la decarbonizzazione, basta prendere in considerazione la carbon footprint. Si tratta dell’indicatore che permette di calcolare le emissioni di gas con un effetto sul riscaldamento climatico, generate da un individuo, un’azienda, un evento, un prodotto o una nazione. Il metodo, sviluppato da Mathis Wackernagel e William Rees all’inizio degli anni ’90, indica quanti pianeti come la Terra sarebbero necessari per rigenerare quanto consumiamo. Attualmente la misura dell’ecological footprint ci dice che per produrre i nostri consumi utilizziamo… le risorse di due pianeti Terra! Abbastanza per fare tutti un deciso passo avanti verso la decarbonizzazione.