Oggi siamo quasi abituati a parlare di donne scienziate. Libri, TV e giornali ne celebrano il talento e le importanti scoperte, ma non è sempre andata così. Ricostruire il loro contributo nelle scienze del passato è complicato: molte figure femminili non lasciarono traccia del lavoro fatto, spesso considerato inopportuno, scomodo o pericoloso per lo status maschile in società tradizionalmente patriarcali. Per secoli poi, le poche che potevano avere accesso all’istruzione erano le donne rinchiuse nei conventi. Forse per questo raggiunsero la fama soprattutto come umaniste, scrittrici, poetesse, e ove possibile collezioniste, mecenati o muse, e molto più raramente scienziate. Malgrado queste difficoltà, dettate soprattutto da impostazioni e convenzioni sociali ma anche da pregiudizi, timori e ostacoli per l’accesso all’educazione, non sono state poche le donne capaci di lasciare un segno importante nello sviluppo della scienza.

Pensate a Ipazia di Alessandria, “la donna più sapiente dell’antichità”, ammirata e rispettata dai suoi discepoli. Nata intorno al 370 d.C., era stata educata dal padre Teone, matematico e astronomo del celebre museo di Alessandria, centro della cultura del periodo ellenistico: non stupisce, dati i presupposti, che Ipazia sia cresciuta colta e allenata all’approccio critico del pensiero. Ipazia scrisse molti libri di matematica e astronomia e pubblicò studi di meccanica e tecnologia (inventò fra l’altro l’astrolabio, il planisfero e l’idroscopio): era insomma uno scienziato nel senso moderno del termine. La sua brillante vita, raccontata anche nell’appassionante film del 2009 Agorà, finì tragicamente: una sera, mentre rincasava, un gruppo di fanatici cristiani la aggredì e la uccise.

Ma ancora prima di Ipazia, intorno al 1200 a.C. ci fu Tapputi, considerata la prima chimica della storia, grazie al ritrovamento di una tavoletta babilonese che attestava la sua capacità e abilità nella creazione di profumi: attraverso l’uso di fiori, oli e balsami, uniti ad acqua o solventi effettuava distillazioni utili all’estrazione delle essenze profumate.

Facendo un veloce salto in avanti, in cucina tutti hanno sperimentato la tecnica di cottura “abagnomaria” che sfrutta il calore rilasciato dall’acqua in ebollizione per evitare di sottoporre l’alimento (collocato in un recipiente resistente per valori di temperatura superiori ai 100°C) a sbalzi termici, ma non molti conoscono Maria la Giudea, la donna che la inventò. Vissuta attorno al I e III secolo d.C. ad Alessandria d’Egitto, era una grande studiosa di alchimia e si dilettò inizialmente nelle ricette di cosmesi per trovare poi la sua strada nello studio di strumenti per la distillazione e la sublimazione. Oltre all’ideazione del “balneum mariae”, mise a punto il “tribijos”, un’apparecchiatura per la distillazione e il “kerotakis”, per sublimare le sostanze.

Il nome di Ildegarda di Bingen vi dice qualcosa? Vissuta nel XII secolo e badessa di un convento benedettino, è la prima scienziata le cui opere in campo scientifico siano giunte intatte fino a noi. Qualche titolo? Il Liber Scivias, che include la sua prima cosmologia completa, l’enciclopedia di storia naturale poi intitolata Physica e il trattato di medicina Causae et Curae. I suoi libri contengono spunti originali sia sul piano scientifico che filosofico e influenzarono il pensiero scientifico fino al Rinascimento. Ildegarda sostiene che la fonte della sua “eccezionale creatività” risiedesse nelle intense visioni che ebbe per tutta la vita. Con tutto il suo genio, questa donna fu esclusa dalla civiltà del sapere che allora emergeva nelle scuole arcivescovili. Lei stessa asseriva di essere una povera ignorante che derivava le sue consocenze non dall’istruzione ma dai suggerimenti mistici di Dio.

E come non ricordare in questo affascinante viaggio la prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria? Ciò che fece Laura Bassi fu straordinario, poiché mai nessuna prima di lei aveva insegnato in un ateneo. La sua materia era la fisica sperimentale di stampo newtoniano che inizialmente insegnò in casa (con il riconoscimento ufficiale dell’Università di Bologna) e poi al Collegio di Montalto delle Marche (1766). Il suo operato fu così rivoluzionario che nei secoli successivi le fu dedicato non solo un asteroide, ma anche un cratere su Venere.

Infine, una carriera più “tormentata” toccò alla fisica Sophie Germain che l’8 gennaio 1816 vinse addirittura il Prix Extraordinaire, voluto da Napoleone, per lo studio sulle modalità di vibrazione, promosso dall’Accademia delle Scienze. Eppure, nonostante questi riconoscimenti ufficiali, rappresenta un tipico esempio di donna scienziato che non poté esprimere al meglio le sue potenzialità a causa di un establishment scientifico esclusivamente maschile. Per tale motivo Sophie Germain fu costretta anche a utilizzare uno pseudonimo maschile: M. Le Blanc.

Da questi poco noti eppure meritevoli ritratti al femminile, emerge che oltre alle donne di scienza ormai note, come per esempio Marie Curie, per nostra fortuna la storia dagli anni avanti Cristo ad oggi è stata costellata di grandi donne che seppur senza riconoscimenti “ufficiali” hanno dato il loro contributo all’intera umanità per alzare l’asticella del sapere.