La prevenzione Incendi e l’azienda del settore chimico

Nel 2011 è intervenuta una profonda riforma del regolamento della prevenzione incendi, che ha modulato gli oneri amministrativi secondo il principio di proporzionalità richiesto più volte dalle categorie produttive, secondo una suddivisione su tre fasce, eliminando la valutazione del progetto per le attività più semplici per le quali esiste una regola tecnica verticale di prevenzione incendi e sostituendo all’atto amministrativo, prima denominato “Certificato di Prevenzione Incendi”, l’istituto della segnalazione certificata di inizio attività accompagnata da un’asseverazione. L’assoggettamento ai controlli di prevenzione incendi è verificabile riscontrando se nell’azienda sono presenti “attività” elencate all’allegato I del DPR 1 agosto 2011 n.151

Scorrendo l’elenco delle attività soggette, sull’allegato I del DPR 151/2011, è possibile identificare le attività che più spesso possono essere identificate in aziende afferenti al settore chimico propriamente identificato, ma anche nell’ambito alimentare o delle energie alternative con fonti combustibili green.

In particolare, si evidenziano, a solo titolo di esempio:

Attività N Descrizione

1

 

Stabilimenti ed impianti ove si producono e/o impiegano gas infiammabili e/o comburenti con quantità globali in ciclo superiori a 25 Nm3 /h
2 Impianti di compressione o di decompressione dei gas infiammabili e/o comburenti con potenzialità superiore a 50 Nm3 /h, con esclusione dei sistemi di riduzione del gas naturale inseriti nelle reti di distribuzione con pressione di esercizio non superiore a 0,5 MPa

 

3 Impianti di riempimento, depositi, rivendite di gas infiammabili in recipienti mobili

 

4 Depositi di gas infiammabili in serbatoi fissi

 

5 Depositi di gas comburenti compressi e/o liquefatti in serbatoi fissi e/o recipienti mobili per capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 3 m3

 

10 Stabilimenti ed impianti ove si producono e/o impiegano, liquidi infiammabili e/o combustibili con punto di infiammabilità fino a 125 °C, con quantitativi globali in ciclo e/o in deposito superiori a 1 m3

 

11 Stabilimenti ed impianti per la preparazione di oli lubrificanti, oli diatermici e simili, con punto di infiammabilità superiore a 125 °C, con quantitativi globali in ciclo e/o in deposito superiori a 5 m3

 

15 Depositi e/o rivendite di alcoli con concentrazione superiore al 60% in volume di capacità geometrica superiore a 1 m

 

16 Stabilimenti di estrazione con solventi infiammabili e raffinazione di oli e grassi vegetali ed animali, con quantitativi globali di solventi in ciclo e/o in deposito superiori a 0,5 m

 

17 Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni

 

19 Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze instabili che possono dar luogo da sole a reazioni pericolose in presenza o non di catalizzatori ivi compresi i perossidi organici

 

20 Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono nitrati di ammonio, di metalli alcalini e alcolino-terrosi, nitrato di piombo e perossidi inorganici

 

21 Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze soggette all’accensione spontanea e/o sostanze che a contatto con l’acqua sviluppano gas infiammabili

 

22 Stabilimenti ed impianti ove si produce acqua ossigenata con concentrazione superiore al 60% di perossido di idrogeno

 

23 Stabilimenti ed impianti ove si produce, impiega e/o detiene fosforo e/o sesquisolfuro di fosforo
 

26

 

Stabilimenti ed impianti ove si produce, impiega o detiene magnesio, elektron e altre leghe ad alto tenore di magnesio

Oltre a queste sono spesso individuabili ulteriori attività connesse al deposito di carta e cartoni (att.n.34), ovvero all’ampiezza di depositi (att.n.70), ad impianti ausiliari e tecnologici, come gruppi per la produzione di energia elettrica (att.n.49), centrali termiche (att.n.74), contenitori distributori di carburante (att.n.12) etc.

In ogni caso, nella gran parte di casi di tratta di attività prive di una norma tecnica verticale, e per le quali è necessario effettuare una specifica valutazione del rischio, al fine di individuare i pericoli presenti, valutare il rischio incendio ad essi connesso, anche in relazione alle specifiche vulnerabilità, e quindi progettare le misure mitigative più idonee, al fine di ridurre il rischio al valore più basso ragionevolmente possibile (criterio ALARP, cioè As Low As Reasonably Possible).

Il primo passo per il consulente tecnico è, comunque, la comprensione della categoria produttiva e dei processi ad essa connessi, le cui potenziali deviazioni dai normali parametri sono normalmente il punto zero di un evento incidentale, anche grave.

Insieme alla comprensione dei processi lavorativi coinvolti, includendo anche tutte le operazioni unitarie presenti, è estremamente importante l’individuazione di tutte le sostanze/miscele presenti, in quali stato di aggregazione si trovino, ed a quali parametri di pressione e temperatura siano gestite, sia durante lo stoccaggio che nella fase produttiva. Ultimo, ma non meno importante, è essenziale includere nella valutazione la modalità di approvvigionamento e di carico/scarico, spesso teatro di eventi incidentali, sia relativi a scenari di incendio, sia alla sicurezza occupazionale.

Una valutazione specifica meritano poi le reazioni chimiche, delle quali è fondamentale una profonda conoscenza di tutti gli aspetti termodinamici e cinetici, risultando infatti il runaway di reazioni chimiche come una tra le cause rilevanti nel settore [1].

 

L’individuazione dei pericoli

Il processo di individuazione dei pericoli, HazId Analysis (HazId è un acronimo per Hazard Identification)[5][10][12], costituisce il primo e fondamentale passo per l’analisi del rischio, più importante decisamente della raffinatezza numerica dei modelli matematici impiegati per la valutazione delle conseguenze, che normalmente popola le risultanze finali degli studi di analisi del rischio con impeccabili ed accattivanti grafici su dispersioni di nubi, valori di irraggiamento etc.

Infatti la mancata individuazione dei pericoli associati ad una sostanza non censita, o al comportamento di una sostanza censita, ma considerata in condizioni chimico fisiche diverse, può indurre a valutazioni errate circa potenziali scenari di rischio, che in questo modo risultano totalmente trascurati.

Un esempio concreto è rappresentato, nell’industria di raffinazione di grassi derivanti da sottoprodotti dell’industria alimentare ottenuti per estrazione solido liquido (Leaching o lisciviazione) tramite solventi infiammabili, di cui comunque rimane traccia nel prodotto finale.

In tali circostanza, la stima della temperatura di infiammabilità di una sostanza può essere oggetto di errori macroscopici, e in particolari condizioni può tragicamente svilupparsi un grave scenario incidentale, rimasto anche silente per anni nello stabilimento, quando si vengano ad allineare tutte le condizioni per l’evento incidentale.

Un altro esempio simile può essere la presenza di componenti volatili in miscela con oli diatermici, derivanti da reazioni di Craking degli stessi durante i cicli termici nei forni utilizzati per elevare la temperatura degli stessi, che fungono da carrier per il mantenimento in temperatura di sostanze che, ordinariamente, possiedono valori di viscosità che ne rendono il pompaggio impossibile.

Inoltre i valori della temperatura di infiammabilità di una sostanza possono venire grandemente influenzati dalle condizioni di contatto con l’atmosfera esterna. Sebbene un olio idraulico possieda una temperatura di infiammabilità, misurata convenzionalmente in base ai vapori della sostanza, ben al di sopra delle normali temperature ambientali, un suo aerosol può dar luogo a fenomeni di fiamma premiscelata o diffusiva, come avvenuto nel tragico evento della Tyssen-Krupp a Torino, nel dicembre 2007.

Insieme all’individuazione dei pericoli è essenziale l’individuazione dei componenti critici dell’impianto, cioè di tutti quegli elementi per i quali il guasto o il comportamento anomalo sfocia in uno scenario la cui evoluzione in incidente è estremamente probabile.

Un esempio di componente critico è la torcia per la termodistruzione di prodotto in caso di blocco dell’impianto, il cui mancato funzionamento, o anche il sottodimensionamento, può produrre l’evoluzione di un’anomalia di processo in incidente, anche grave. Anche in impianti che comunemente non si classificano come impianti di processo, come gli impianti di produzione di biogas per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, che constano di biodigestori, sistemi di accumulo e gruppi di cogenerazione, la torcia costituisce un elemento critico in caso di blocco del gruppo di generazione elettrica, in quanto è necessario smaltire il bio gas, evitandone una perdita di contenimento.

In particolare, risulta essenziale per l’individuazione dei pericoli che il consulente prenda visione delle procedure attuate dall’azienda per il proprio esercizio operativo, in quanto è stato ormai ampiamente dimostrata la radice gestionale di gran parte degli incidenti nell’industria chimica e di processo [8].

In ultimo, l’analisi storica rappresenta comunque un buon riferimento di partenza per l’individuazione di potenziali scenari incidentali, basandosi sul criterio di similitudine di processi, procedure ed apparecchiature, che si sono già verificati. Tuttavia la sola analisi storica non risulta sufficiente, in quanto la gran parte dei dati fa riferimenti è relativa a impianti su scala medio grande, la realtà industriale medio piccola spesso sfugge alla registrazione di eventi, specie ove non scattino procedure automatiche tipo MARS (major accidents recording system) [14], il sistema di registrazione degli eventi incidentali dell’agenzia europea per la protezione dell’ambiente.

Per i riferimenti relativi ad incidenti conseguenza di reazioni chimiche fuori controllo, un utile riferimento è rappresentato dai dati resi disponibili tramite la stazione sperimentale dei combustibili (http://www.innovhub-ssi.it/web/stazione-sperimentale-per-i-combustibili/home).

 

Analisi dei Rischi

Una volta identificati i pericoli, la conduzione dell’analisi dei rischi sull’azienda costituisce il passo successivo, al fine di valutare la vulnerabilità dell’azienda alle deviazioni di processo, ma anche ad anomalie ed eventi che possano condurre all’evento incidentale. La conduzione dell’analisi di rischio può essere condotta a diversi gradi di complessità, proporzionalmente alla tipologia e dimensioni dell’azienda considerata. A tal fine una linea guida può essere rappresentata dall’allegato C dal D.Lgs 105/2015, che è comunque applicabile in analogia. In alternativa è possibile seguire gli analoghi riferimenti della letteratura internazionale che rappresenta lo stato dell’arte in questo settore [2][3][4][7][10] citata in bibliografia.

Ai fini di una guida per l’analisi del rischio su industrie chimiche sono un prezioso ausilio anche i volumi dell’AiChe CCPS, sia per l’analisi storica che per l’utilizzo di elementi quantitativi e la valutazione delle conseguenze di potenziali rilasci. Inoltre sono oggi disponibili sul web il sito del Chemical Safety Board www.csb.gov ed il sito Aiche https://www.aiche.org/ccps/resources/process-safety-beacon che forniscono informazioni aggiornate sulle più recenti casistiche incidentali nell’industria chimica.

E’ però importante che si diffonda una cultura della sicurezza che comprenda, oltre all’analisi storica, anche strumenti predittivi, per l’individuazione precoce di potenziali fenomeni incidentali, e non soltanto su quanto noto dall’analisi storica disponibile. L’individuazione di criticità gestionali può essere ottenuta analizzando le procedure ed isolando i singoli task, cioè le operazioni semplici o i gruppi di operazioni che li compongono. Considerando questi elementi come collocati su un asso temporale, è possibile individuare le criticità ipotizzando variazioni sui task elementari.

Ad esempio, se uno dei task elementari comporta il caricamento di un serbatoio/unità di processo, si possono valutare le potenziali criticità ipotizzando deviazioni all’operazione come “mancato caricamento”, “ritardato caricamento”, “parziale caricamento” etc. e valutando insieme al personale aziendale le conseguenze di tale condizione. Con la stessa logica può applicarsi all’operazione di svuotamento, alimentazione di un reagente etc.

In particolare per una produzione di tipo discontinua, sia che contenga reazioni batch o meno, un efficace strumento di analisi è la riconduzione dell’operazione a task gestionali e apparecchiature critiche/gruppi di apparecchi elementari, ipotizzando l’instaurazione di condizioni di deviazione di processo sulle stesse per errori operativi di natura gestionale o per blocchi/guasti/malfunzionamenti di natura impiantistica.

Tale strumento di analisi, che deve essere condotto necessariamente con la collaborazione del personale aziendale, ha potenzialità predittive anche di nuovi scenari, sinora non sviluppatisi in incidenti, ed è stato derivato dall’analisi Hazop classica, applicandola a processi batch, in cui l’asse temporale della consecutività dei task previsti è un’ulteriore variabile da considerare.

In ultimo, strumenti emergenti nel settore dell’analisi di rischio per l’industria di processo sono rappresenati dalla Bow-tie analysis e dalla Layer of Protection Analysis. La Bow-Ties Analysis [14], in particolare, consente una rappresentazione graficamente funzionale di ciascun Top Event, per i casi devianti considerati, sintetizzando l’azione delle barriere di prevenzione e delle barriere di mitigazione del sistema. Tale strumento di analisi può adattarsi a quasi tutte le tipologie e scala di stabilimenti, sia intesi nel senso della direttiva Seveso che nel senso di semplice sito industriale.

 

Individuazione della Normativa di riferimento

E’ sempre opportuno considerare che il contesto normativo è oggi complesso, ed agli obblighi del testo unico sui luoghi di lavoro, che rappresenta il livello di partenza in merito alla salute e sicurezza dei lavoratori, e in termini di obblighi per il datore di lavoro, si sovrappongono altre fonti normative, in particolare per la prevenzione incendi, oltre a quanto derivante dal regolamento che individua le attività soggette, il DPR 151/2011, possono risultare cogenti alcune norme tecniche verticali, come il DM 31/7/34 per i depositi di oli minerali, così pure la circ. Alcoli, Bombole etc., pertanto non è necessariamente scontato che in un’azienda del settore chimico la progettazione antincendio debba rispondere esclusivamente a norme orizzontali.

Inoltre è importante considerare che alla normativa nazionale si sovrappone oggi un’articolata normazione europea, pertanto direttive quali la Direttiva Macchine (Direttiva 2006/42/CE, Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 17 ), Direttiva attrezzature a Pressione (2014/68/UE, Decreto Legislativo n° 26/2016), costituiscono un importante riferimento che si combina con gli obblighi di conformità sugli impianti, peraltro anch’essi di origine UE, regolamentati dal DM 37/08.

Tali norme, spesso percepite (e talvolta subite) come una giungla regolamentare dai datori di lavoro/rappresentanti legali delle aziende, hanno importanti riflessi anche relativamente alle responsabilità relative al funzionamento degli impianti e sulle attività definite MMO (Maintenance Modification Operations) per le componenti fornite con la formula “chiavi in mano”, ove le aziende che ne hanno curato l’ingegneria, la produzione, l’installazione e lo start-up rispondono per quanto da loro certificato. Purché, ovviamente, sia effettuata la manutenzione indicata dal produttore e ci si attenga all’utilizzo per le quali sono state realizzate, e non siano effettuate modifiche.

Pertanto la valutazione della documentazione e della certificazione delle componenti impiantistiche e la verifica del rispetto dei manuali forniti dal produttore, costituiscono un passo di estrema importanza per il corretto inquadramento della configurazione aziendale, puntualizzando che il mancato rispetto delle indicazioni del manuale di installazione e di uso produce, a cascata, l’invalidazione delle certificazioni di conformità eventualmente rilasciate per quella sezione impiantistica.

 

Misure Progettuali di mitigazione

Una volta che è stata condotto uno studio complessivo sui rischi connessi alla specifica attività, è possibile ragionare sulle barriere mitigative più opportune per ridurre il rischio incendio nell’attività. In generale è possibile dire che l’evento iniziatore di un evento di incendio su uno stabilimento chimico è spesso una perdita di contenimento di un reagente, di un intermedio o di un prodotto finito. In tal caso risulta opportuna l’individuazione delle aree di potenziale spanto, anche con algoritmi semplificati [6][7][8][9][10] [17][18][19], o di dispersione della nube di aerosol, vapore, gas, al fine di determinarne l’area di potenziale danno e le distanze di sicurezza per le postazioni impiantistiche dedicate alla lotta antincendio, oltre che le misure di protezione ritenute necessarie per scongiurare il verificarsi di disastrosi effetti domino.

In tale fase deve tenersi conto, ovviamente, delle misure derivanti da cogenza normativa, qualora sia vigenti norme tecniche verticali specifiche. Tali norme sono spesso disponibili per le aree di stoccaggio, mentre nelle aree di lavorazione si deve più spesso fare riferimento alle normative orizzontali di prevenzione incendi. In ogni caso, in presenza di vapori o polveri infiammabili, risultano cogenti anche gli obblighi del testo unico per la sicurezza sui luoghi di lavoro, Titolo IX D.lgs 81/08.

La scelta di sistemi di mitigazione, sia di protezione passiva (es.Fire Proofing di strutture con rivestimenti per l’aumento dell resistenza al fuoco di supporti, strutture, e serbatoi di contenimento, realizzazione di bacini e cordoli di contenimento) sia di protezione attiva (sensori per la presenza di atmosfere potenzialmente infiammabili, impianti di ventilazione forza, impianti di spegnimento automatico).

Per gli impianti è di grande importanza valutare potenziali interazioni tra sistemi di protezioni attive (es. impianto di evacuazione naturale di fumi e calore e impianto automatico di spegnimento con schiuma ad alta espansione). Nel caso di rischio di perdita di contenimento di vapori si può far riferimento all’uso di barriere d’acqua, secondo standard come ISO o API, considerando che l’efficacia al solo fine di attenuazione dell’irraggiamento termico prevede portate dell’ordine di grandezza di 35 litri/(metro lineare minuto) per la propria efficacia, e deve essere preso in considerazione il fattore di vista sul potenziale bersaglio. Ai fini della mitigazione della propagazione di nubi di aerosol/vapori/gas si può trovare un riferimento nelle [9][18][19] per le portate di acqua richieste per l’abbattimento delle più comuni sostanze pericolose (ammoniaca,acido cloridrico etc) , in base a test su scala reale effettuati.

Altre tipologie di sistemi di mitigazione sono costituite da vent e superfici cedevoli, in volumi confinati a rischio di rilasci che in condizioni di confinamento generano sovrapressioni anche disastrose.
Si rileva anche di estrema importanza l’interposizione di barriere sia fisiche che logiche nel flusso di processo, quali serrande taglia fuoco, valvole di blocco o di eccesso di flusso etc. In ogni caso, in una progettazione di tale livello di dettaglio, non è possibile prescindere dalla progettazione di processo, con cui dovrà interfacciarsi prima di ogni potenziale modifica.

 

Conclusioni

Il presente articolo vuole essere poco più che una traccia per il professionista che volesse approfondire le tematiche di sicurezza nell’industria chimica, ed in generale nelle sezioni di processo connesse a stabilimenti ed attività delle più diverse tipologie, dalla produzione di conglomerati bituminosi con la sezione di scambio termico e riscaldamento del bitume a sezioni di estrazione solido liquido e separazione del solvente in impianti che operano su sottoprodotti alimentati, ad impianti di distillazione di alcolici al riempimento di bombolette di deodorante con propellente infiammabile. In generale tutte le operazioni unitarie coinvolgenti sostanze combustibili o infiammabili possono essere analizzate secondo i criteri brevemente riassunti, nella consapevolezza che solo attraverso una piena conoscenza del processo chimico fisico posto in essere per la finalità di produzione può svilupparsi una buona analisi del rischio, e quindi, in conseguenza, una buona progettazione antincendio.
Si vuole, in ultimo, ricordare che nell’industria chimica, come in nessun altra attività, può associarsi un concreto rischio ambientale ad un evento incidentale di incendio o, semplicemente, di perdita di contenimento e dispersione, anche in relazione all’elevata sensibilità sociale oggi sviluppatasi, con i conseguenti effetti sulla continuità di esercizio dell’azienda. Pertanto la progettazione antincendio dovrà tenere conto anche di tale aspetto ai fini della riduzione del rischio incendio su aziende operanti nel settore chimico.

Ing. Vincenzo Puccia
Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Padova